Una battaglia già persa

Ogni giorno è una battaglia persa in partenza. Mi sveglio con il corpo già stanco, come se la notte non avesse mai avuto il coraggio di darmi tregua. Cammino, o almeno ci provo, trascinando il peso di un’esistenza che si sgretola sotto i miei piedi. Ogni passo è un compromesso tra la volontà di andare avanti e la consapevolezza che il mio corpo non mi appartiene più del tutto. Poi arriva qualcuno che con il tono sicuro di chi sa cosa sia meglio per me, mi dice: “Dovresti fare fisioterapia.” Lo dicono con la leggerezza di chi prescrive un bicchiere d’acqua per placare la sete, come se il problema fosse solo la mia pigrizia o la mia ostinazione a non voler stare meglio. Ma cosa significa stare meglio? Significa combattere ogni giorno contro un male che non posso sconfiggere? Significa illudermi che esercizi e sedute possano rimettere insieme quello che la malattia sta lentamente portando via? Oggi ho pianto. Non di disperazione, ma di una piccola liberazione soffocata. Pianto perché non ho più la forza di ribattere, di spiegare, di giustificare ogni esitazione, ogni cedimento. Pianto perché so che, nonostante tutto, non so se ce la farò. E il dubbio è un veleno sottile che mi corrode dall’interno, più della malattia stessa.