Oltre la paura

Non voglio spaventarvi quando scrivo parole come “morte” o “morire”. Non è un segno di resa, né il riflesso di un desiderio oscuro. È solo il mio modo di esorcizzare la paura, di dare un nome a qualcosa che esiste, ma che non voglio lasciare che mi sovrasti. Parlare della morte non significa desiderarla, ma comprenderla, accettare che fa parte della vita, proprio come la luce e l’ombra si alternano nel giorno. Scrivere di questi pensieri è il mio modo di attraversare i momenti bui senza farmi inghiottire da essi. È una porta che apro, non per fuggire, ma per guardare in faccia le mie paure e ricordarmi che la vita, nonostante tutto, ha sempre un valore immenso. So che ci sono giorni difficili, momenti in cui il peso delle emozioni sembra insopportabile, ma so anche che la vita mi ha sempre sorpreso con attimi di bellezza inaspettata. Una risata spontanea, una canzone che arriva al momento giusto, il calore di una persona cara, il semplice respiro dell’aria fresca sul viso: sono piccoli segnali che mi ricordano che sono qui, che sto vivendo, e che ogni istante ha un senso, anche quando non riesco subito a vederlo. La scrittura è il mio strumento per trasformare il dolore in comprensione, per dare forma alle emozioni senza esserne schiavo. È un atto di libertà, un modo per non sentirmi solo nei momenti difficili. Non voglio spaventarvi con le mie parole, voglio solo essere autentico, perché tutti, prima o poi, attraversiamo momenti di oscurità. Ma so, e voglio ricordare a me stesso e agli altri, che dopo la notte arriva sempre l’alba. Che anche nel buio più profondo può accendersi una luce, e che io scelgo di cercarla, sempre.