Ci sono giorni in cui il mio corpo sembra diventare estraneo, un enigma difficile da decifrare. La voce, un tempo forte e sicuro, ora si affievolisce, riducendosi a un sussurro. Spesso mi accordo che faccio fatica a farmi sentire dagli altri, come se le parole rimanessero bloccate dentro di me, soffocate da una forza invisibile che non riesco a controllare.

Ogni parola che riesce a uscire sembra frutto di uno sforzo immenso, come spingere una pietra su per una montagna.

E poi ci sono i piedi. È come se fossero incollati al pavimento. Cerco di fare un passo, ma niente. È come se il mio corpo si rifiutasse di obbedire, inchiodato in una rigidità che non comprendo.

Mi guardo intorno e vedo persone che si muovono liberamente, con naturalezza. E allora mi chiedo: “Com’è possibile che io non riesca a fare ciò che un tempo facevo senza nemmeno pensarci?”

E poi c’è lui, il “Mister Park”, come lo chiamo io. È come se si allenasse per una corsa all’indietro. Quando provo a muovermi in avanti, sento una forza opposta che mi tira indietro, come se i miei piedi si fossero trasformati in blocchi di cemento.

E il peggio arriva quando il corpo inizia a muoversi al contrario, contro la mia volontà. È come se un filo invisibile mi trascinasse nella direzione opposta a quella che voglio prendere.

In quei momenti capisco quanto sia infido il Parkinson. Non si limita a sottrarti il ​​controllo dei movimenti, gioca con te. Ti illudi per un istante che tutto vada bene, per poi privarti improvvisamente di ogni certezza.

Ogni passo indietro. Ogni parola non detta. Ogni movimento sfuggito al mio comando.

È una battaglia continua contro questa malattia subdola, che colpisce all’improvviso e trasforma le cose più semplici in sfide inaspettate.

Eppure, nonostante tutto, vado avanti.

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